mercoledì 29 ottobre 2008

Kossiga docet

Forza Italia e Casalesi alla conquista di Fondi

Camorra, 'ndrangheta e destra nel sud del Lazio
Il Manifesto, 26 ottobre 2008
Andrea Palladino

Solo pochi chilometri dividono il sud del Lazio dalla terra di Gomorra, quella provincia di Caserta ventre molle della democrazia italiana. Andando da Latina verso il Garigliano le strade sono divise tra coltivazioni e stabilimenti turistici. Sperlonga, Minturno, Gaeta, Formia sulla costa; la città di Fondi nell'entroterra, sulla via che porta verso la provincia di Frosinone. Ed è terra di cosche questa provincia sud del Lazio, dove vivono ormai da decenni famiglie che rappresentano il peggio delle mafie della Campania, della Calabria e della Sicilia. Convivono spartendosi le attività economiche, in piena pax mafiosa. Nessuna faida, nessuna guerra tra clan, ma un silenzioso interesse comune, spesso basato su intrecci familiari.
Anni di silenzio giudiziario sono stati interrotti da poco da una serie d'inchieste della Dda di Roma, che dal 2005 ha iniziato ad osservare da vicino le attività dei clan. Un'inchiesta in particolare - partita alla fine del 2007 - sta mettendo in luce anche le tante e articolate coperture e complicità politiche, che - secondo gli investigatori - coinvolgono Forza Italia. Pezzi del consiglio comunale di Fondi, assessori e consiglieri regionali, fino a sfiorare il senatore Claudio Fazzone, vero boss politico della zona e potente presidente di Acqualatina, il gestore idrico partecipato da Veolia. Anche se non risulta indagato, è indubbio che il sistema di influenza del principale rappresentante forzista nella zona sia il giusto contesto in cui inquadrare le inchieste in corso. Claudio Fazzone al suo esordio nel Senato - nel 2006 - fece man bassa di preferenze, raccogliendo 37.000 voti da queste parti. Solo un anno prima alle regionali era risultato il candidato più votato in Italia. E se Formia è il feudo di Forza Italia, Fazzone ne è senza dubbio il padrone incontrastato.
Sono i carabinieri di Latina a scoprire, alla fine dello scorso anno, che le indagini che stavano conducendo su alcune famiglie della 'ndrangheta presenti da anni nel sud del Lazio li stavano portando dritti verso le complicità politiche, verso quella fitta rete di complicità, ricatti e amicizie inconfessabili che qui domina ovunque. Gli investigatori stavano da mesi indagando sulle famiglie calabresi Tripodo e Trani e su un siriano, Hassan Bouzan, che controlla alcuni locali notturni molto conosciuti della costa del sud del Lazio, come «La Bussola» di San Felice al Circeo.
I Tripodo sono ben noti nell'area. I fratelli Carmelo e Venanzio - che si occupano di pulizie - sono i figli di Domenico Tripodo, arrestato nel 1975 e ucciso un anno dopo nel carcere di Poggioreale dai cutoliani. Era un vero capobastone, caduto in disgrazia in Calabria dopo uno scontro feroce con i Di Stefano. Ed è proprio indagando sui rapporti e sugli affari dei Tripodo che emergono le figure dei politici. Per i carabinieri le cosche si possono basare su una sorta di gruppo di appoggio, che è in grado di garantire le porte giuste per entrare nella pubblica amministrazione.
Le figure chiave sono l'ex assessore ai lavori pubblici di Fondi Riccardo Izzi e il consigliere regionale del Lazio Romolo Del Balzo. Tutte e due di Forza Italia, tutte e due sotto la tutela politica del senatore di Forza Italia Claudio Fazzone. Del Balzo era già conosciuto alle forze di polizia per gli stretti legami che negli anni passati ha avuto con Alberto Beneduce, esponente di spicco del clan dei Bardellino, ucciso in un agguato nell'agosto del 1990.
Tante le telefonate che si scambiano politici e uomini vicini alle famiglie sospettate di essere terminali della 'ndrangheta. Il giovane assessore Izzi - primo degli eletti nel comune di Fondi - si interessa a tutto, dai pagamenti da sollecitare per le aziende amiche, alle autorizzazioni da oliare. Romolo Del Balzo si occupa invece - per gli inquirenti -di raccomandazioni per posti di lavoro, mandando via fax i risultati dei test prima delle prove e dandosi da fare per piazzare persone amiche in Acqualatina.
L'inchiesta ha una svolta inaspettata all'inizio del 2008. Izzi subisce un attentato, gli bruciano la macchina, un chiaro segno di avvertimento. Spaventato corre dai carabinieri di Latina e chiede di parlare con i magistrati della Dda di Roma, che stanno conducendo le indagini anche su di lui. Poche ore prima di incontrare gli inquirenti - racconterà - viene contattato da Claudio Fazzone. Il senatore sa tutto - dice agli inquirenti - sa che sta per andare alla Dda e che potrebbe collaborare. Ed è esplicito nel chiedergli di lasciare la politica, di dimettersi da assessore. Lo stesso ultimatum - secondo Izzi - gli arriva dal sindaco di Fondi Parisella - sempre di Forza Italia - che gli dice chiaramente che lui con la politica ha finito.
Izzi è spaventato. Ammette di essere stato eletto con i voti delle famiglie Tripodo, Trani e Zizzi, tutti calabresi. Racconta anche di quello che gli uomini legati alle famiglie in odore di 'ndrangheta gli chiedevano. Piaceri apparentemente piccoli, ma inquietanti, come quello di far avere la residenza alla moglie di un esponente del clan dei Casalesi. Spiega infine di come ripuliva nelle attività della sua impresa assegni provenienti dai giri di usura, che da queste parti vedono la malavita organizzata protagonista.
Quello che racconta l'ex assessore di Fondi è fondamentale per gli investigatori. Ed è proprio dalle sue dichiarazioni che sarebbe partita la commissione d'accesso nel comune di Fondi e la richiesta di commissariamento del prefetto Frattasi, sul tavolo del ministro Maroni da settembre.
Nei mesi scorsi le indagini sono proseguite, ricostruendo un fittissimo giro d'usura che coinvolge un immobiliarista di Fondi, Massimo Di Fazio e Vincenzo Garruzzo, detto «Zi Vince», noto boss locale. Nel troncone delle indagini sull'usura il livello politico sarebbe stato per ora stralciato, probabilmente per poter approfondire le indagini e per capire fino a che punto si siano spinte le complicità. Per il prefetto di Latina, però, le connivenze sono chiare. Nella relazione inviata a Maroni Frattasi chiama in causa il sindaco forzista di Fondi Parisella, parte del consiglio comunale e «la stessa macchina amministrativa» del comune. Nella richiesta di commissariamento si legge chiaramente che vi era una vera e propria contiguità tra Carmelo Tripodo e pezzi di Forza Italia del sud del Lazio.
Gli esponenti di Forza Italia di Latina per ora tacciono, almeno pubblicamente. Anzi proprio Del Balzo sta lavorando per lanciare la candidatura del senatore Fazzone a presidente della Regione Lazio. E' un senatore al secondo mandato, in un collegio blindato come quello di Fondi. Ha poi un posto strategico nelle commissioni delle immunità parlamentari e per i procedimenti d'accusa. Una carica che potrebbe sempre tornargli utile.

sabato 30 agosto 2008

CALABRIA • Un'inchiesta del pm De Magistris sul business idrico

Quattrocento miliardi in un buco dell'acqua

Il Manifesto, 30 agosto 2008

A Scalea, all'estremo sud della Calabria, erano venticinque anni che non si vedeva una siccità come quella di quest' estate. Sulle cause Palmiro Manco, della federazione dei Verdi della città calabrese, è sicuro: «Qualcuno ha voluto chiudere i rubinetti». Scalea, poco più di 10.000 abitanti, è uno dei 400 e più comuni calabresi che stanno cercando di pagare un debito ormai gigantesco per l'acqua potabile. Difficile stabilire con certezza a quanto ammonta la fattura non pagata, ma sicuramente non si tratta dì pochi euro. Soldi dovuti alla Regione, ma riscossi da una delle tante società miste che gestiscono l'acqua in Italia.
La Calabria è tra le regioni più ricche d'acqua, di fonti, di sorgenti, di laghi del sud Italia. Dai rubinetti di acqua corrente, buona e pubblica, però, se ne vede ben poca. Dal febbraio del 2003 a regolare il mercato idrico c'è una società pubblico-privata, dove il gruppo Veolia, alleata con i pugliesi Pisante, controlla il 42,5% delle quote. E' un cosiddetto sovrambito idrico, un fornitore all'ingrosso, nato per mediare tra le grandi disponibilità d'acqua e la gigantesca sete dei cittadini calabresi. Una «società mista pubblico-privata», il mix di economia e di politica che il magistrato Luigi De Magistris aveva messo sottoaccusa duramente fin dalle prime inchieste sulla costruzione dei depuratori.
Si chiama So.Ri.Cal. spa e gestisce centinaia di milioni di euro pubblici, stanziati dalla Regione, dal governo e soprattutto dall'Unione Europea. Quando nacque, dopo un parto un po' complicato, in Calabria la politica festeggiò alla grande. L allora socio privato, l'Enel guidata da Paolo Scaroni, già importante compagno d'affari dei fratelli Pisante, aveva messo sul tavolo 400 miliardi di lire, a garanzia dei futuri investimenti. Tecnicamente si chiama fideiussione e fu la carta ritenuta vincente per aggiudicarsi il ghiotto affare delle acque calabresi.
Gli anni passano e la società stenta a partire. Mediazioni, accordi, tavoli di trattativa. I grandi cantieri delle infrastrutture idriche - le dighe dell'Esaro e del Menta, gli acquedotti - possono aspettare. L'Enel intanto lascia l'affare acqua e passa tutto alla multinazionale francese Veolia.
Oggi dei 400 miliardi di lire di garanzia si sono perse le tracce. Mai ritrovati, dice Luigi De Magistris negli atti della sua indagine sulla gestione della So.Ri.Cal, una delle ultime inchieste che ha firmato come pm a Catanzaro. Ora il magistrato sta preparando le valige, ma - si dice in Calabria - non vuole lasciare pendenze e all'inchiesta sulla gestione delle acque si sta dedicando con impegno.
Il labirinto delle spa, dei patti che è meglio non rivelare, dei controlli che è meglio non fare si stringe, si complica quando i privati entrano nel business dell'acqua. E si perde comple-tamente la via quando si inizia a parlare di quanto veramente le multinazionali sono disposte ad investire. Mentre la garanzia messa sul tavolo dai soci privati si dissolve, gli affari continuano. Servono soldi, tanti soldi per la So. Ri.CaL I fondi dei Por - finanziamenti dell'unione europea - non bastano e l'amministratore delegato Raimondo Besson, indicato dal socio privato, il 4 maggio del 2006 apre un mutuo di 123 milioni di euro. A garanzia non ci sono più i soldi della fideiussione, ma le azioni della società, la cui maggioranza è della regione, cioè dei cittadini. Chi ci rimette se i privati gestiscono male? «Garanzie e impegni assunti andrebbero a ricadere sulla Regione Calabria», spiega De Magistris.
Ma i soldi non bastano mai. Lo stesso Raimondo Besson - che intanto si occupa anche dell'altra creatura Veolia, Acqualatina - si lamenta. Pochi finanziamenti, il business non gira. C'è il problema dei comuni calabresi, che devono tanti soldi per bollette idriche non saldate, sono loro i clienti morosi che devono capire che è meglio pagare. Solo Scalea, pare, ha un debito di più di otto milioni di euro. Gran parte dei soldi sono dovuti alla Regione, visto che si riferiscono alla gestione precedente a quella della So.Ri.Cal. Ma l'azienda gestita dagli uomini di Veolia si fa dare la riscossione. Difficile stabilire quale sia l'aggio, una cifra che si è persa anch'essa nei labirinti. Ma intanto la Regione Calabria stanzia altri soldi per la società pubblico-privata, che assomiglia sempre di più ad una specie di videopoker.
Dopo due anni, nel maggio scorso, arriva il raddoppio della posta in gioco: un nuovo mutuo, questa volta di 240 milioni di euro, tanto, come dice la procura di Catanzaro, il rischio è solo dei cittadini. La banca che lo concede è di un gruppo irlandese - Depfa - che sta puntando strategicamente sulla finanza di progetto nel nostro paese. Ha già in mano contratti con il gestore dell'acqua della zona del Valdarno, in Toscana, controllato da Acea e Suez e con quello della provincia di Latina, controllato da Veolia.
Come sono stati spesi questi soldi è il vero centro del labirinto, che i magistrati stanno esplorando. I soci privati quando entrano nell'affare acqua sanno che la legge gli garantisce la «remunerazione del capitale investito», un guadagno di poco inferiore al 10%. E la vera contabilità, in questi casi, sta nel capire cosa è investimento e cosa è ordinaria manutenzione degli impianti. E qui i conti non tornano, secondo i magistrati. Quando la procura ha chiesto i rendiconti sugli investimenti alla So.Ri.Cal., «è emerso che gli uffici regionali, preposti anche alla vigilanza e controllo, non avevano contezza degli investimenti effettuati». Non solo. Le cifre sono state «di gran lunga inferiori alle previsioni contrattuali».
Pochi investimenti, pochi lavori, affidati nella maggioranza dei casi - secondo la procura -a una ventina di aziende, tutte riunite nel consorzio «Giordano Grical». Con ribassi di gara che di solito non superavano il 3%. «Un sistema consolidato», commenta De Magistris.
L'inchiesta è solo all'inizio. A maggio sono avvenute diverse perquisizioni ed ora i documenti sequestrati stanno aiutando gli inquirenti a ricostruire il labirinto So.Ri.Cal. Veolia e il gruppo Pisante non commentano, solo Raimondo Besson, che ha proposto un mutuo con la Depfa anche al gestore idrico di Latina, ci tiene a dire che non è indagato, che ha solo «subito una perquisizione con motivazioni abnormi». Motivazioni grandi come la sete di ac-qua e di giustizia dei cittadini calabresi.
Chi potrà, dunque, assicurare l'acqua a un prezzo giusto in Calabria e a Latina? Se qualco-sa va storto, saranno probabilmente le stesse banche d'affari, che stanno entrando nel controllo delle società che gestiscono l'acqua attraverso i pegni costituiti sulle azioni, potranno a loro volta cederle a qualche altra multinazionale. E' un domino finanziario che stanno costruendo sui nostri rubinetti, sull'acqua bene comune e inalienabile. Un gioco che prevede ora di riscuotere quanto più è possibile. Ad Aprilia, come a Scalea.

Andrea Palladino

Acqua e rifiuti: il cartello. Storia di una maledizione mafiosa

Da Diario, marzo 2008 - di Andrea Palladino e Roberto Lessio

Le avventure dei fratelli Pisante e dei loro potenti amici, da vent'anni pronti a gestire le emergenze idriche e il business delle discariche. Una tradizione nata nella Sicilia antica e ben cresciuta nell'Italia moderna

E’ l'inizio dell'autunno a Monreale. Il vento caldo dell'in terno si mischia con l'odore di salsedine. È il 3 ottobre del 1874 e Felice Marchese, di professione fontaniere, viene trovato ammazzato nel giardino Vaglia: uno dei tanti omi cidi di mafia rimasti senza colpevole. Le indagini trovaro no però un mandante, tale Pietro Di Liberto, che mandò i sicari contro Felice Marchese, «guardiano delle fontane», perché questi non voleva far mancare l'acqua ai proprie tari dei giardini. Acqua che lui, invece, intendeva vendere ad altri. Un delitto storico, parte della prima guerra di ma fia documentata, che vedeva contrapposte due organizza zioni, i Giardinieri e gli Stoppaglieli.

Sono passati 134 anni da quell'omicidio, in quella Sicilia eterna del fontaniere Marchese. L'acqua continua a essere ino dore, insapore, incolore, ma sempre con un padrone preciso. Un padrone diffuso, spalmato tra decine di società, con sedi a Milano, a Napoli, a Parigi e in Lussemburgo. Un padrone che deve, però, continuare a baciare mani e guance, a riverire, a rispettare patti non scritti. Acqua e Sicilia, ambiente e mafia, rifiuti e politica: è cambiato qualcosa dal 1874?
L'acqua era ed è una merce, non un diritto. Un concetto mafioso (almeno in origine) che si sta espandendo all'intero pianeta. È un bene che non ha mai conosciuto crisi, sempli cemente perché non ne possiamo fare a meno. Attraverso un pizzino o un fondo speculativo svizzero, questo diritto è sod disfatto solo grazie a vecchi e nuovi mediatori. L'acqua ha ab bandonato le fontane gestite dai capibastone per entrare nei bilanci delle società per azioni, che, però, non possono - o non vogliono - stare molto lontane da chi gestisce i soldi e il pote re nella Sicilia antica, immutabile. E acqua è il nome che dà inizio a questa storia, la storia della potentissima Acqua spa, seppellita da Tangentopoli e risorta dalle sue ceneri per com piere un'unica, strana, operazione. Acquisire il 10 per cento delle azioni di Idrosicilia spa, il moderno mediatore della se te in Sicilia, che gestisce oggi acquedotti e dighe, rivendendo l'acqua ai comuni dell'isola.

Era un gruppo di amici affiatato, si erano conosciu ti negli anni Settanta, quando l'Italia aveva bisogno di infrastrutture, di depuratori, di acquedotti. Amici con nomi che contano, che hanno fatto strada. C'erano due fratelli, pugliesi emigrati a Milano, Giuseppe e Ottavio Pisante. C'era Paolo Scaroni, attuale amministratore delegato dell'Eni, «recuperato» dal governo Berlusconi nel 2002 per metterlo a capo dell'Enel. C'era Gianfelice Rocca e la sua Techint, Marcellino Gavio con il suo impero infrastrutturaìe nei trasporti e Gianmario Roveraro con la sua Akros Finanziaria.
I fratelli Pisante e Paolo Scaroni avevano già lavo rato insieme - fin dagli anni Novanta - nella Techint, il colosso delle costruzioni e della siderurgia della fami glia Rocca. Non solo. La stessa Techint all'inizio degli anni Novanta (con la Akros e la Sofìna di Marcellino Gavio) è socia della Holding Acqua. Manager e uomi ni d'affari, famiglie del capitalismo nostrano, ancora oggi al comando dei servizi ambientali, delle grandi in fra strutture dell'energia. Tutti meno uno. Gianmario Roveraro, salito alle cronache per le sofisticate opera zioni finanziarie della sua banca Akros - che organizzò la quotazione in Borsa della Parmalat di Calisto Tanzi - è finito male, trovato cadavere il 21 luglio del 2006. Era stato rapito qualche giorno prima da un piccolo in vestitore di Ferrara, che si era sentito truffato.

Nel gennaio del 1993 Tangentopoli diventa la bufera che gela l'economia italiana. Il gruppo Acqua spa era un vero e pro prio impero dei servizi ambientali: 2.400 dipendenti, 500 miliar di di fatturato, 87 società controllate solo in Italia. Dove c'era acqua (senza la a maiuscola) da distribuire, qualcosa da ripu lire (depuratori o rifiuti), lì il gruppo Acqua era presente. Alla fine del 1992, due giorni prima di Natale, Ottavio Pisante entra in cella a Foggia, nella sua Puglia. Una storia di na stri trasportatori e di tangenti. Un paio di settimane dopo, dal carcere, coinvolge nelle inchieste un dirigente Enel vicino al Pci-Pds, Giambattista Zorzoli, che assieme all'amministratore di Elettrogeneral lo avrebbe costretto a pagare. Nel frattempo, anche l'altro pilastro del gruppo. Paolo Scaroni, in qualità di amministratore delegato della Techint, era stato coinvolto in una storia di tangenti, che riguardava la costruzione di alcune centrali dell'Enel. Vicenda che si concluse nel 1996 con la con danna – patteggiata - a un anno e quattro mesi.

Ottavio è il più giovane della famiglia Pisante e ci tiene al la sua futura carriera. Dalla cella pensa continuamente a quei documenti trovati dagli inquirenti pugliesi a Milano. Troppo tardi, due cartelline azzurre erano state sequestrate qualche giorno prima nella sede di una società controllata dal gruppo, la Emit. E il sunto del metodo Acqua; duecento pagine fitte di annotazioni manoscritte, cifre e nomi di politici e di porta borse. Secondo la procura di Foggia, quei fogli sono il libro mastro delle tangenti pagate in tutta Italia e in Svizzera. Un colpo mortale. Ottavio confessa parla, spiega. Meno disposto a collaborare è invece Giuseppe Pisante, arrestato anche lui in quei giorni, questa volta per una storia di discariche. Al cen tro dei vari affari, messi sotto la lente d'ingrandimento da un asse investigativo che si era creato tra Foggia e Milano, c'era no le loro società, il gruppo Acqua e la Emit.
Finita la bufera, cambiano gli assetti societari. I prota gonisti della Holding Acqua acquistano, vendono, parte cipano e costruiscono società che si controllano a vicenda, in un inestricabile, forse, gioco di scatole cinesi. E, soprat tutto, creano alleanze strategiche con i colossi multina zionali nel settore delle acque e dei rifiuti: in primo luogo americani e francesi. Francesi italianizzati, in secondo.
Alleanze o cartello? Il passaggio a cavallo tra il 1993 e il 1997 è strategico. In mezzo c'è la legge Galli (de! 1994) che aprirà ai privati il mercato idrico. Ci sono tanti de puratori da costruire o da rifare, soprattutto nella ricca Milano. Insomma, una torta gigantesca, una boccata d'os sigeno per le aziende uscite da Tangentopoli.
Di possibile cartello parla per la prima volta la procura di Monza nel 1993, che trova nelle carte sequestrate alla Emit un accordo che — secondo l'accusa—serviva per spartirsi i lavori delle infrastrutture ambientali. L'antitrust apre un'inchiesta, analizza il dossier che «contemplava un complesso sistema d'at tribuzione e stabiliva che, per ogni singolo appalto per il quale era prevista la partecipazione delle parti, queste esprimessero un leader il quale, dichiarando di essere particolarmente intro dotto nella specifica iniziativa, assumesse la responsabilità dì espletare ogni e qualsiasi azione per arrivare all'aggiudicazio ne» (Autorità garante della concorrenza e del mercato; 8 giu gno 1994). Ma, sempre secondo l'Antitrust, non vi fu cartello, visto che lo stesso accordo non avrebbe avuto attuazione.
Dopo qualche anno, nel marzo del 1997, il vicesindaco di Milano Giorgio Malagoli riceve un fascicolo che parlerebbe an cora una volta di un cartello, sempre guidato dalla Emit. Secon do uno studio di due ricercatori dell'Università di Greenwich e della Bocconi (Water time case study D-33, del 2005) questo nuo vo accordo avrebbe avuto due nuovi attori, due multinazionali francesi che stavano sbarcando in Italia: la Suez (ali 'epoca Degremont) e la Veolia (conosciuta allora con il nome di Generale des Eaux). Le stesse che oggi - grazie ad alleanze strategiche - controllano l'acqua dì molti milioni di italiani.

Nel 1998, fra i tanti nomi di Tangentopoli, quello dei Pisante ormai si confonde. La memoria che Gerardo Colombo ha assunto come vizio imperdonabile non è il punto forte nel nostro Paese. Qualche processo finisce patteggiando, qualcun altro con assoluzioni o prescrizioni. C'è da lavorare a Milano, unica città europea senza un depuratore. C'è la novità dei fran cesi di Veolia e di Suez, colossi mondiali dei servizi ambientali subentrati agli americani. La storia insegna che i colossi han no poi bisogno delle formichine, che riescono a entrare ovun que. Vale a dire di chi detiene, di fatto, le chiavi del business dell'acqua e dei rifiuti. Pisante (Giuseppe), che opera con le varie sigle Acqua, Emit o Siba, ha in mano un appalto, il più grande d'Europa, per la realizzazione dei depuratori di Mi lano. Basta mettersi d'accordo. Milano vive una vera emer genza, con i poteri straordinari attribuiti al sindaco Gabriele Albertini. Gare e appalti da assegnare che, guarda caso, ven gono vinte dal «cartello» formato dai fratelli pugliesi, dalle due multinazionali francesi che dovrebbero darsi battaglia in no me della concorrenza del mercato e dall'immancabile presen za del colosso di turno della Lega delle Cooperative.

Solo un anno dopo, nel 1999, il patto di ferro tra la Veolia e i Pisante viene siglato dividendo il pacchetto azionario dalla Siba, che oggi è presente nella gestione di moltissimi ambiti idrici e co struisce depuratori in tutt'Italia.
Ed è proprio la realizzazione dei depuratori il suggello del patto: Pisante, Veolia e Suez sono soci inseparabili a Milano. L'Emit e la Veolia Water convivono sotto lo stesso tetto, in via Lampedusa 13, poco distanti dai depuratori che hanno costrui to insieme. Le loro società diventano le chiavi di volta per capi re la Sicilia dell'acqua e dei rifiuti del ventunesimo secolo. Se nel 1993 i nomi di Giuseppe e Ottavio Pisante spariro no dal Who’s who (gli americani, è noto, non amano le tangen ti che inquinano il mercato), oggi sono di nuovo alla ribalta. «Non esagerate con gli antipasti, stiamo aspettando la cena», avrebbe detto Giuseppe Pisante a uno dei manager di Acqua-latina, società mista che gestisce l'acqua nel Sud del Lazio, do ve Veolia possiede la quasi totalità delle azioni in mano al socio privato. Quale fosse la cena lo hanno raccontato i magistrati di Latina, che hanno arrestato il 23 gennaio scorso sei perso ne tra manager e componenti del consiglio d'amministrazio ne. Tutti legati al gruppo Veolia, meno uno. Paride Martella, ex Udc, passato poi all'Italia dei Valori, ex presidente della provincia e del cda di Acqualatina. La società della città la ziale è stata uno dei primi laboratori del modello di gestione misto pubblico-privato in Italia (Diario aveva raccontato la vi cenda con un'inchiesta, nel marzo dello scorso anno). Con la privatizzazione di fatto delle risorse idriche di Latina (l'am ministratore delegato e le mosse più importanti sono decise dai soci privati, anche se possiedono solo il 49 per cento delle quote), Acqualatina spa è divenuta la creatura da difendere con i denti per i politici locali (la zona è tradizionalmente di centrodestra), che spesso ricevono incarichi nella società. E in provincia di Latina la prima conseguenza del modello Acqua la vivono gli utenti, che hanno ricevuto bollette con aumenti che arrivano, in alcuni casi, anche al cento per cento.

Qui l'accordo di Milano ha funzionato per i fratelli Pisante. Anche se è la multinazionale francese Veolia ad avere il controllo, di fatto il menù lo stabiliscono loro, che di acqua se ne intendono. Ma la cena che sta per arrivare non è solo a base d'acqua. Nella ricca, ricchissima, carta dei servizi ambientali italiani ci sono molte altre «emergen ze» in corso, il vero viatico di ogni buon affare. A Latina, i soldi degli appalti che sarebbero stati spartiti - secondo la procura - tra i soci privati, senza nessuna gara a evi denza pubblica (come impone la normativa comunitaria), sono finiti in mano alle stesse società inserite nella com posizione societaria. Appalti in house, si chiamano. Cioè fatti in casa. Acqualatina è stato in fondo solo un labora torio d'idee e di comportamenti.
Ma i veri affari arrivano più a sud. E lì che tro viamo il modus operandi del «cartello» controllato dai Pisante e soci.

È solo di qualche mese fa l'ultimo allarme siccità nel Sud Italia. Non è una novità: ogni estate i rubinetti, in Calabria e in Sicilia sono secchi. Il caldo, le mutazioni climatiche, la siccità. Immaginiamo Palermo, Caltanissetta, Reggio Calabria, Mes sina, Crotone e pensiamo al deserto prossimo venturo. Eppu re la Calabria e la Sicilia sono ricche d'acqua.
Negli anni Settanta a Palermo vi fu una delle più gra vi emergenze idriche del dopoguerra. Il ministero dei Lavori Pubblici decise di aprire un'inchiesta sulle fonti d'approvvi gionamento idrico: nel piano regolatore generale degli acque dotti del 1968 c'erano solo 13 pozzi censiti. In realtà, la Sicilia aveva già 1.649 pozzi, che fornivano acqua abbondante tutti i giorni. E allora? Erano pozzi gestiti da note famiglie, i Greco di Ciaculli, i Buffa, i Marcerò, i Motisi, i Teresi.
Oggi i pozzi gestiti dai privati sono più di 20 mila, secondo l'ultimo censimento curato dal generale Rober to Jucci, commissario straordinario fino al 2000. Una ri sorsa potenziale di un miliardo di metri cubi.
Ed è in questo momento che Pisante, Veolia e l'Enel guidata all'epoca dall'amico di sempre, Paolo Scaroni, arrivano. Nel 2004 — in piena emergenza idrica, con commissario straordinario Felice Crosta, indicato dal go vernatore Cuffaro — entrano come soci privati del nuovo gestore dell'acqua, il colosso Siciliacque, che gestisce gli acquedotti, le dighe e gli invasi. Sì aggiudicano il 75 per cento del pacchetto, con il controllo totale della socie tà.
L'acqua la comprano dall'Ente acquedotti, dall'Enel - nella doppia veste di socio e fornitore - e da qualche fontaniere alla maniera antica, siciliano doc, come Pietro Di Vincenzo, padrone del dissalatore di Gela. Arrestato e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa - con una pena in realtà lieve, un anno e otto mesi inflit ti dal tribunale di Roma - Di Vincenzo ricorda i vecchi fontanieri, i padroni dei pozzi. Ex presidente della Confindustria di Caltanissetta, oggi si ritrova il suo patrimo nio di circa 260 milioni di euro sotto sequestro e le sue aziende gestite dai fiduciari dei tribunali. Nella relazio ne di bilancio del 2005 della sua azienda preferita, la Di Vincenzo spa (che nel 2005 ha venduto alla società con trollata da Veolia/Enel/Pisante quasi due milioni di eu ro d'acqua), qual era il suo interesse sta scritto nero su bianco: abbandonare il cemento e il mattone per entrare sempre di più nel mercato idrico. Ma non solo. Nel 2005 l'interesse di Pietro Di Vincenzo arriva anche in Sarde gna, dove si occupa dell'Acquedotto Govossai a Nuoro; partecipa alle gare del commissario all'Emergenza idrica, proponendosi come progettista d'impianti di dissalazio ne; cerca di aggiudicarsi la gestione dell'acqua a Trapani, unico a presentare un'offerta...

A unire i soci del Nord Italia, la famiglia Pisante, i francesi di Veolia e le aziende locali che, come dire, conoscono il territorio, c'è oggi un altro business, la monnezza. In italiano si chiama immondizia, ma ormai solo la declinazione in dialetto campano fa testo: soprattutto per il meccanismo delle regole che vengono sistematica mente sospese. Là lo sono da oltre tre lustri. Chi vuo le capire l'economia in Italia deve vedere dove vengono nominati i commissari straordinari. Di straordinario lo ro hanno soprattutto il potere di affidare i servizi pubbli ci essenziali, anzi, vitali, quali l'acqua e i rifiuti appunto, senza gare e spesso senza valutazioni sulla trasparenza di chi li gestirà. C'era un'emergenza a Milano: si fecero i depuratori, pagandoli a peso d'oro. C'era un'emergen za in Lombardia negli anni Novanta: vennero costruite le discariche, che poi diedero qualche guaio giudiziario (a puro titolo di esempio) a Paolo Berlusconi; c'era - e c'è ancora oggi - l'emergenza per i rifiuti in Sicilia, do­ve si aspettano i soldi del Cip 6 (i contributi di Stato per le energie rinnovabili, «deviati» verso l'incenerimento dei rifiuti - piuttosto che verso le vere fonti rinnovabi li) per aprire i cantieri per quattro inceneritori. Protago nisti? Ancora loro, gli eterni fratelli Pisante che, con le partecipazioni azionarie e le varie scatole cinesi, risulta no essere soci di tutti i soggetti «vincitori» degli appalti siciliani: assieme al gruppo Falck (controllore di Actelios-Elettroambiente) e il gruppo Waste Italia.
Un ulteriore grande affare per il gruppo di aziende della Milano da bere sta per andare in porto in questi giorni. E da poco scaduto il termine dell'ennesima pro roga per l'aggiudicazione del bando per il completamen to del termoinceneritore di Acerra. Dopo una prima fase in cui sembrava che a partecipare fossero tre cordate ca peggiate da Veolia, dalla Asm di Brescia e dalla spagnola Urbaser, ora sembra che solo i francesi alleati di Pisante siano ancora in competizione. Delle due l'una: o si fa un nuovo bando, oppure si va (come da prassi italiana a se guito di un'emergenza) all'affidamento diretto.
In questo secondo caso, Veolia sta già contrattando la posta in gioco. Vuole garanzie politiche. Insieme al ter moinceneritore vorrebbe anche una discarica da oltre 700 mila tonnellate all'anno. Vuole i contributi del Cip 6 che vengono prelevati dalle nostre bollette: le più care d'Eu ropa proprio a causa di questi costi. Se non saranno date queste garanzie, i termovalorizzatori non si faranno (per ché non sono economicamente convenienti) e i rifiuti pos sono restare per strada all'infinito. Per ora Prodi, anche se dimissionario, è riuscito a garantire i contributi, con un decreto varato alla fine di gennaio, mentre alle altre ga ranzie sta lavorando il commissario De Gennaro. La fi ne dell'emergenza dipende dalla volontà e dagli interessi di chi ha in mano da ormai tanti anni i servizi ambienta li in Italia, non da altro. Deciderà probabilmente Veolia, il vero padrone del settore in tante regioni del Sud Ita lia. Grazie ai monopoli «naturali» dell'acqua e dei rifiuti, i francesi e i loro alleati italiani possono decidere sui no stri bisogni primari: bere e avere una qualità di vita de cente, almeno con le strade liberate dai rifiuti.
E lo scandalo Campania può continuare ad andare in onda in diretta mondiale, ma senza fare alcun cenno al le situazioni gemelle a Latina, in Calabria, in Sicilia e, so prattutto, a Milano. I nostri diritti hanno bisogno di essere ancora «mediati» da qualcuno. Come 134 anni fa.

venerdì 29 agosto 2008

Per ricordare Ilaria



Diversi video sono disponibili su youtube per ricordare Ilaria Alpi, uccisa in Somalia nel marzo del 1994. Ancora oggi i mandanti dell'agguato non sono conosciuti, nonostante le inchieste e una commissione parlamentare.
Ilaria indagava - tra l'altro - sul traffico dei rifiuti e sul commercio clandestino di armi tra l'Italia e la Somalia.

L'acqua fa gola

Arrivano i privati e le multinazionali, le bollette aumentano del 300%, ma i cittadini protestano e decidono di non pagare più di quanto pagavano prima. Ma Acqualatina manda squadre di vigilantes armati e carabinieri nelle case per ridurre il flusso o staccare addirittura i contatori. Con l'avallo del Comune

Il Manifesto, 21 agosto 2008

È ormai guerra aperta quella di Acqualatina contro i settemila cittadini di Aprilia che da tre anni contestano un contratto mai approvato dal consiglio comunale. Ai metronotte armati si sono affiancati i carabinieri, che ieri pomeriggio hanno accompagnato un ennesimo intervento per la riduzione del flusso. Una signora di cinquant'anni è stata colta da un malore mentre quattro tecnici della compagnia idrica della provincia di Latina a colpi di piccone le tagliavano l'acqua, mettendo un riduttore che le fornirà pochi litri al giorno.
Il comitato spontaneo dei cittadini di Aprilia ha cercato di far capire ai carabinieri che l'intervento del gruppo scortato dai vigilantes era illegittimo. La clausola che prevede il distacco è stata infatti dichiarata vessatoria dal Tribunale di Latina, mentre sull'intero processo di privatizzazione dell'Ato 4 pendono diversi ricorsi e un'inchiesta della procura della Repubblica. Nessuno ha voluto sentire ragioni. E così, mentre il 118 portava in ospedale la signora, il piccone le spaccava il marciapiede davanti casa, scoprendo i tubi, facendo spazio agli idraulici che preparavano la rondellina con il microforo, concepita per punire il cittadino che contesta la bolletta. Le due transenne posizionate dai tecnici di Acqualatina - guidati da un più che solerte geometra - non sono però riuscite a tenere lontane tutte le ragioni dei cittadini di Aprilia. Dal 2005 loro l'acqua la continuano a pagare al Comune, e gridano con orgoglio che non sono morosi. Ci tengono a rispettare ogni norma, chiedono da anni ai tribunali di far valere le loro ragioni, visto che da un giorno all'altro la bolletta è aumentata, da queste parti, anche del 300%.
Oggi ad Aprilia le ordinanze dei giudici, le disposizioni del Garante regionale delle risorse idriche e settemila contestazioni in corso contro Acqualatina sono divenute carta straccia. E' bastato che il vicesindaco della città, Giovannini, dicesse un mezzo sì alla squadra della spa con scorta armata perché i diritti della donna anziana finissero. E' bastato che la società controllata di fatto dalla multinazionale Veolia mandasse un fax al Comune dicendo di dover fare «interventi all'acquedotto comunale», perché nessuno potesse più opporsi. Conta di più la relazione del consiglio di amministrazione, che ha detto chiaramente che la contestazione di Aprilia va risolta, con le buone o con le cattive, altrimenti sarebbe venuta meno «la continuità aziendale».
Blitz contro la middle class
E' pieno agosto, il momento ideale per i blitz. Sono le 9 del mattino e la ronda del pattuglione con scorta armata di Acqualatina prevede una sosta a via Amsterdam, ad Aprilia. Piccole villette da classe media, il signor Giovanni e la moglie si sono appena alzati. Lui è un pensionato, lavorava alla Goodyear. Forse si aspettavano la visita dei tecnici di Acqualatina, ed è per questo che sul loro contatore avevano messo un lucchetto. Lo hanno fatto in molti ad Aprilia, dato che la custodia dell'idrometro è sotto la loro responsabilità. Spiegano quindi al solerte geometra - accompagnato da ruspa e guardia giurata - che loro il contatore non lo aprono. Ma ieri mattina il pattuglione si ripresenta e questa volta il signor Giovanni chiama i carabinieri. Perché sa che la ragione e un'ordinanza del Tribunale sono dalla sua parte. Ai carabinieri Acqualatina spiega che vuole solo leggere il contatore, questione di un attimo. «Nessun problema», spiegano i due pensionati, e mostrano i numeri dell'idrometro. Tutto risolto, il pattuglione va via.
E' l'una del pomeriggio, quasi 32 gradi. Qualcuno deve aver detto al solerte geometra che la pausa pranzo oggi se la possono scordare. Qualcuno deve aver spiegato ai carabinieri che anche gli azionisti di Acqualatina hanno i loro diritti e che quell'acqua - in pieno agosto - va ridotta. Ribussano quindi alla porta del signor Giovanni e dicono che loro l'autorizzazione l'hanno in tasca. Al comitato per l'acqua pubblica - che assiste i due anziani - spiegano che il Comune di Aprilia aveva autorizzato l'intervento sul pozzetto del marciapiede, visto che non potevano intervenire sul contatore. Dopo qualche minuto arriva una macchina dei vigili urbani e porta un foglio firmato Acqualatina, che richiedeva l'intervento.
I carabinieri cercano di mediare tra Acqualatina, già con il piccone in mano, e il comitato, che cerca di spiegare che esiste un'ordinanza di un giudice che dice chiaramente che i distacchi li può ordinare solo il Tribunale. Si cerca anche l'intervento del Comune, ma la politica ha orecchie solo per gli azionisti della società ed ascolta più le parole del presidente della Provincia, Armando Cusani. Ex democristiano, oggi di Forza Italia, è stato membro del consiglio di amministrazione di Acqualatina e sa chi comanda veramente. Via libera, quindi, e visto che il marciapiede è territorio comunale, per la giunta di Aprilia Acqualatina lo può picconare.
«Sbrighiamoci», dice il pattuglione. Non aspettano neanche che la moglie di Giovanni venga portata via dall'ambulanza. Due infermieri del 118 la sorreggono mentre il selciato davanti casa viene divelto. Il figlio, con la maglietta di Emergency, rimane muto, teso, appoggiato alle transenne, mentre il padre, Giovanni, si allontana. Tocca a lui, forse neanche ventenne, controllare quello che i tecnici stanno facendo.
La strategia della paura
Di riduzioni in questi giorni di pieno agosto Acqualatina ad Aprilia ne ha fatte poco meno di trenta. Nulla di fronte alle settemila contestazioni, ma abbastanza per impaurire, per costringere tutti a pagare. L'obiettivo, in realtà, non è neanche quello di incassare, ma di costringere chi ha contestato ad andare allo sportello. «Basta un piccolo versamento e riapriamo l'acqua», dicono. E subito chiedono di firmare il contratto contestato.
Da Acqualatina nessuno parla. Tutti in ferie, meno il pattuglione, costretto però al silenzio, pena il licenziamento. La legge di una Spa che gestisce un servizio pubblico è questa, sia che si tratti di Ferrovie che di acqua. Nel caso delle società miste pubblico-private - come Acqualatina - il compito è poi ben distribuito: i soci pubblici devono occuparsi di garantire il terreno politico, di ammorbidire, di smussare, di usare le parole giuste. Il socio privato, nel caso Veolia, porta avanti il «core business», prepara i distacchi, gestisce le gare d'appalto.
Le porte del comitato di Aprilia non chiudono in questi giorni di agosto. Tutti hanno rinviato le ferie e continuano ad accogliere 50 cittadini al giorno, che si presentano per poter contestare quel padrone dell'acqua che nessuno ha voluto. Oggi, però, tutti si sentono un po' soli, abbandonati in questo deserto dei diritti che è Aprilia. Di politici oggi a difendere il signor Giovanni e la moglie non ce ne era neanche uno.

Andrea Palladino

L'acqua invisibile



Aprilia, gennaio 2007: 6.000 persone decidono di resistere alla privatizzazione dell'acqua, gestita da quattro anni dalla multinazionale Veolia. Manaus, agosto 2005: 400.000 persone sono senz'acqua, dopo cinque anni di servizio privatizzato, gestito dalla multinazionale Suez. Lucrare sull'acqua significa togliere ogni speranza, significa uccidere il futuro.

Tratto dal documentario "L'acqua invisibile", di Astrid Lima e Andrea Palladino, produzione Liblab.

Il sito ufficiale del documentario "L'acqua invisibile" è invisiblewater.org